Riflettere sulla religione vuol dire ragionare sul bisogno di infinito che attraversa l’uomo, in tutta la storia e in ogni latitudine, ma significa anche soffermarsi sulle forme storiche dei rituali che le diverse religioni usano per connettersi con questo infinito, e vuol dire anche scontrarsi con la chiusura, l’errore, il fanatismo.
La religione coinvolge la sfera universale del rapporto col sacro, inscindibile però da quello con la storia. Soddisfa la nostra curiosità di Infinito, ma al tempo stesso si scontra con le debolezze umane.
Meditare sulla religione vuol dire estasiarsi e meravigliarsi del rapporto con l’Immenso, e al tempo stesso, può voler dire arrabbiarsi con la vuotezza di certe ritualità, che a volte precludono questo stesso Immenso che vorrebbero contenere, scambiando il contenitore per il contenuto, il rito per Dio.
La riflessione sulla religione comporta, come un pendolo che oscilla, un’attenzione al problema della Tolleranza e dell’Intolleranza (intese come accettazione/non accettazione dell’altro) toccandone gli estremi.
Da un lato, in quanto sintonia col divino, la religiosità è tolleranza per antonomasia, è amore incondizionato per l’altro, e per un tutto di cui ognuno di noi fa parte.
Dall’atro lato, un certo tipo di religiosità è il culmine dell’intolleranza, poiché pretende di essere l’unica chiave d’accesso alla salvezza, non accettando la diversità, arroccandosi in una pericolosa solitudine di superbia, arrivando a stigmatizzare il diverso in quanto ‘eretico’ e deviante.
The Finger and the Moon Project si situa sul crinale del pendolo: riflette sul bisogno di Infinito dell’uomo e sulla tolleranza per ogni forma di creazione, ma anche sull’ipocrisia dell’intolleranza e sul pericolo del fanatismo.
Come disse un famoso saggio indiano:
“Tutte le religioni sono delle dita che indicano la luna.
L’importante però è non fermarsi a guardare il dito.”